Era il 17 marzo 1861 e l’Italia viveva un cambiamento epocale: fu proclamata l’unità della nazione. Fu un periodo di grandi cambiamenti che, per varie ragioni, portò anche all’inizio di un grande esodo che si sviluppò con viaggi emigranti dalle campagne e dalle montagne di un’Italia che, di fatto, era ancora divisa per società, culture e lingua.
L’emigrazione non partiva solo dal sud; al contrario, verso la fine dell’Ottocento, anche il nord avrebbe contribuito ad aumentare questo fenomeno. Regioni come Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana e persino territori non ancora italiani, come il Trentino e il Friuli, alimentarono un flusso impressionante di individui e famiglie diretti oltre i confini, sia verso l’Europa che oltreoceano.
Nell’immaginario collettivo degli italiani, Argentina, Brasile e Stati Uniti divennero la “Merica”. Questi paesi rappresentavano la speranza di una vita migliore e di opportunità inesplorate.
Nel corso degli anni, l’emigrazione si estese praticamente a tutte le regioni, raggiungendo il suo apice alla vigilia della prima guerra mondiale.
A favorire questo incredibile flusso di persone fu anche il cambiamento che si verificò nei mezzi che si potevano utilizzare per il viaggio. Si era passati alla navigazione a vapore e i piroscafi per il trasporto dei passeggeri si erano fatti via via più grandi.
Le compagnie di navigazione si erano organizzate per la vendita dei passaggi in nave e la risonanza della ricchezza che si poteva trovare in America raggiungeva ormai le campagne più remote.
Migliaia di persone impoverite a causa della fame, del banditismo e delle malattie decisero di vendersi terra e casa per comprare un biglietto di sola andata per un futuro colmo di speranza ma incerto.
Il viaggio sui piroscafi con un biglietto di terza classe
A bordo delle navi le condizioni erano estremamente difficili. I dormitori erano spazi angusti e umidi, progettati per ospitare il massimo numero di persone possibile. Gli emigranti potevano portare solo un fagotto, un sacco o una cassetta di vestiario e generi alimentari, mentre tutto il resto andava nella bagagliera, che rimaneva chiusa per l’intera durata del viaggio.
Questo costringeva le persone a rimanere con gli stessi vestiti per tutto il tragitto, spesso bagnati dalla pioggia o sporchi di cibo, urina o vomito.
I dormitori maschili e femminili
Per evitare promiscuità, uomini e donne erano separati nei dormitori.
Indipendentemente dal sesso, gli spazi erano sovraffollati e insalubri, con persone sporche e maleodoranti che dormivano insieme senza possibilità di lavarsi.
Il fetore, a volte, diventava insopportabile, spingendo molti a preferire di stare all’aperto, anche se al freddo e in condizioni scomode.
Cosa che diventava impossibile durante le traversate invernali dell’Atlantico settentrionale, a causa del gelo e delle burrasche.
I dormitori femminili erano descritti come vasti mezzanini illuminati debolmente, con ordini di cuccette disposti uno sopra l’altro.
La situazione diventava complessa con la presenza di donne di campagna, donne di città, giovani, anziane, bambini e donne incinte.
Questo ambiente diventava il luogo in cui le malattie più gravi si manifestavano, colpendo soprattutto i più piccoli e causando epidemie dagli esiti spesso nefasti.
Le navi degli emigranti: condizioni sanitarie e ordine a bordo
Dal 1895, per i viaggi oltre Suez e Gibilterra, la presenza del medico di bordo divenne obbligatoria. La mancanza di condizioni igieniche adeguate e la folla di persone favorivano infezioni, epidemie e malattie.
Il medico di bordo si rivelò essenziale per affrontare le condizioni precarie pur utilizzando strumenti primitivi e poche medicine.
A bordo delle navi, il Regio Commissario di Emigrazione deteneva un potere paragonabile a quello del comandante.
Era responsabile dell’amministrazione, della gestione della posta, della vigilanza sull’ordine e della risoluzione delle liti tra i passeggeri di terza classe.
Chi giocava d’azzardo, teneva armi e bevande alcoliche a bordo, era clandestino o accendeva una rissa finiva dritto in cella.
Il commissario inoltre, tratteneva i passaporti e compilava la lista passeggeri richiesta dagli Stati Uniti per lo sbarco.
Mangiare a bordo: cibo e refettorio
Il cibo a bordo era consumato in condizioni difficili, con gli emigranti accovacciati e ammassati sotto coperta.
Durante gli anni, la qualità del cibo cambiò a seconda delle compagnie e dei viaggi, ma rappresentava comunque un miglioramento rispetto alle difficoltà alimentari esistenti in patria.
Se è vero che molti, nelle proprie memorie, si lamentavano, va anche detto che per molti emigranti era forse l’aspetto migliore del viaggio.
Molti che scappavano per non morire di fame, si trovavano di fronte a razioni più che abbondanti che comprendevano farinacei, ma anche legumi, carne, pesce salato, insalata, conserva di pomodoro e frutta.
E per molti era una cuccagna; il primo vero e proprio assaggio di quella vita diversa, anche per abbondanza del cibo, a cui aspiravano con l’emigrazione.
Per distribuire il cibo, al momento della partenza si dividevano le persone in gruppi di sei chiamati “ranci”; ogni gruppo veniva assegnato a un “capo-rancio” che aveva il compito di ritirare le gamelle con i pasti per gli altri.
Questo sistema permetteva a tutti di ricevere la propria razione giornaliera sia a pranzo che a cena.
Accovacciati sulla coperta, presso le scale, con i piatti tra le gambe e la ciotola contenente il pasto tra i piedi, i nostri emigranti mangiavano come i poveri alle porte dei conventi.
Con queste premesse, immaginate quali potessero essere le condizioni igieniche di coperta e soprattutto sottocoperta di un piroscafo sballottato dal mare.
Per molti anni il cibo degli emigranti a bordo si consuma così: dove viene, sul ponte di coperta se non c’è cattivo tempo, o nei dormitori se c’è pioggia e burrasca.
Anche l’acqua era un grosso problema; veniva conservata all’interno di grandi vasche di ferro rivestite di cemento.
Con il rollio della nave quest’ultimo tendeva a sgretolarsi intorbidendo l’acqua che veniva a contatto con il ferro, si ossidava e veniva bevuta non filtrata.
Una volta terminato il pasto, ognuno doveva lavare le sue stoviglie ma senza acqua calda e sapone si può facilmente immaginare il risultato sgradevole di quel lavaggio.
Negli anni successivi, le navi più grandi introdussero i primi refettori, migliorando le condizioni del pasto durante i viaggi verso l’America del Nord.
Erano ancora molto spartani, ma rappresentavano un passo avanti rispetto ai primi tempi. I viaggiatori avevano l’opportunità di sedersi a tavola, anche se senza tovaglie e tovaglioli, e di gustare pasti migliori.
Dopo circa 30/40 giorni di viaggio, i più resistenti, fortunati e in salute giungevano finalmente nella tanto agognata America.
Alla vista della Statua della Libertà, un grido di soddisfazione si levava nell’aria insieme a lacrime di commozione che sgorgavano dagli occhi.
Il piroscafo si fermava a Ellis Island e lì, dopo lo sbarco, cominciava ancora un’altra storia.